27/02/15

Aforismi e pensieri inceneriti XCIV




Spesso il pazzo intelligente e creativo crede di dissimulare l'espansione della propria follia rigogliosa con atti e gesti in cui è adombrata una versione appassita della suddetta, in maniera che essa risulti del tutto ammissibile per i suoi interlocutori, quando questi non siano la società intera. Questa strategia lo rassicura rispetto a una scelta che privilegi una simulazione di normalità, da lui reputata troppo ostentata, di un'evidenza pericolosa. E' la stessa legge che regola l'agire del bugiardo patologico. E che porta entrambi a perdersi, per incontinenza funambolica.

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Il volto di Keaton è l'epitome della rassegnazione, adeguamento plastico alla catastrofe. Il suo modellarsi in una staticità inviolabile non è che la rappresentazione traslata di una catastrofe imparziale e priva di determinazioni. Del cataclisma generalizzato che è la vita.

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Quando vivo in mezzo a una dimensione massificata vengo subito colto dal desiderio di riposare in una confortevole nicchia che mi preservi dalla volgarità che mi circonda. Tuttavia, una volta gettato in una qualsivoglia cavità dorata dell'alveare umano, il disgusto per quel comico brusio regale, e il conseguente anelito ad essere risucchiato nel grande oceano dell'uniformità, si fanno imperiosi. Non resta che il deserto. Ma dove trovare la forza?
            
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Per giungere ad essere tutto, non volere essere niente. Abbiamo solo da imparare da un San Giovanni della Croce. Frantumare l'identità a livello subatomico. Desistere per esistere. Personalmente nutro una profonda stima per coloro che, nella vita, aspirano a derealizzarsi. " È un signor nessuno ". Quale migliore elogio!


05/02/15

Aforismi e pensieri inceneriti XCIII




Nutro simpatia per tutti i transfughi della propria vocazione, che non hanno niente da insegnare. In particolar modo per quei disertori celesti che al primo brivido estatico se la sono data a gambe. Esseri frammentari, mutili d'assoluto, tarme annidate sull'incorruttibile porta del paradiso. Deve trattarsi di solidarietà tra vinti.

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Nel libro "Unità Trascendente delle Religioni" Frithjof Schuon parla delle bestie, piante ed animali come creature periferiche. La forma di queste creature rivela tutto ciò che essa conosce, identificandosi in ultimo con questa conoscenza. La forma d'un determinato essere indica il suo stato o sogno contemplativo. Rimane fuori l'uomo, l'informe per eccellenza, il senza norma, sprovvisto della capacità di aderire alla propria evidenza, in balia della mutevolezza delle proprie idee, pulsioni, dogmi e pensieri. L'uomo, l'eterno disgiunto, il dissociato perenne.

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Dalle pitture rupestri affiora un mondo in cui la continuità metamorfica non è spezzata dalla cristallizzazione in classi propria dell'ordine naturale. Perché non esiste ordinamento tipologico nella dialettica costante tra le "parti". Uomo, animale, pianta e minerale convergono in un unicum che dà forma al tempo mitico della non storia, epurato da ogni dislocazione cronologica, inattingibile in un senso più profondo. Il tempo che produce e quindi separa, il nostro, è l'abisso edificato sul genoma del mondo, e nessuna archeologia e genetica che non siano spirituali sono in grado di ricomporre la mappa che disegna l'anima mundi.

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L'uomo è costituzionalmente incapace di sostenere una quantità illimitata di memoria. I più deboli sono proprio coloro in cui la facoltà di ricordare, e quindi di rimpiangere, è oltremodo dilatata. Un indigeno sottoposto ad un naturale ritmo ciclico disponeva d'una quantità infima di ricordi, di cui poteva disfarsi per mezzo d'una salubre cadenza rituale. L'esistenza odierna, cerimoniale del nulla protratto all'infinito, non fa che rivendicare un sovrappiù d'esperienze, le quali muteranno in un'infinità di reminiscenze svigorite, prese una ad una, ma foriere di minare l'equilibrio mentale se considerate nell'insieme. In questo mondo un uomo affetto da immortalità non conoscerebbe altra fine che una follia inesauribile. Finirebbe per essere sepolto vivo dall'immenso edificio dei propri ricordi.