19/07/16
Aforismi e pensieri inceneriti CVII
Quando le sue poesie apparvero, il metro, la brevità, certe interpunzioni, dovettero risultare eversive, in ciò che attiene alla forma. Eppure erano e sono sostenute da un nitore geometrico abbacinante. Niente di più sovversivo dell'armonia ri-conquistata, della stabilità deputata a conservare ogni perturbazione, anche lessicale, tra le colonne della proporzione. Le parole della Dickinson provengono già dal regno dei morti, ed è questo, forse, in profondità, il germoglio indistruttibile su cui è fondato questo supremo equilibrio, riflesso di una dimensione ultraterrena che allude al reintegrarsi di ogni forma nel medesimo, illimitato prototipo. Ronza l'anima, come l'ape su un ghiacciaio, e ci bisbiglia da uno spazio che sentiamo nostro, d'un presente irriducibile, che attende ogni essere e cosa dall'eternità del giorno.
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C'è un quadro di Hans Holbein il cui magnetismo di jesus patibilis esercitò una forte attrazione su Dostoevskij. Egli fece proferire al principe Myskin, ne L'Idiota, le seguenti parole: " Quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno". Un Cristo putrefatto, decomposto, profezia di un umanesimo la cui rinascenza appare come un organismo ambiguo, dalle propaggini terrene che accarezzano il firmamento, luogo di rifioritura dell'uomo, di rinnovata escrescenza materica, suo trionfale sussulto, annunciato da una spasmodica proliferazione anti-ascetica nello spazio. Eppure dietro questa " suppurazione del vuoto " sembrano celarsi radici, il cui movimento contrario, si estende in un sottosuolo larvale, che scioglie le forme, separa, disaggrega sino alla cancellazione. Il Cristo di Holbein sembra non avere più alcuna speranza di risorgere. Questo, il contrappunto dissonante, qualora si voglia udire il suono che riveste i primi vagiti della modernità, e che si afferma come il preannuncio di ogni futura scissione.
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Qualsivoglia immagine che affondi le sue radici nell'impossibile è apocalittica. Essa si protende verso l'uomo con tutta l'inaudita potenza di ciò che promette una sfolgorante mutazione della coscienza iconica dell'essere. Nel radicarsi di ogni visione contemplante la propria fine sorge il timbro della Rivelazione.
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Scrivere è un colloquio ininterrotto con la morte.
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La Dickinson è l'idolo di ogni poeta
RispondiEliminae chi non aspirerebbe a tradurla?
la scelta delle parole è fondamentale
ma anche la giusta interpretazione ...
ciao Arthur, bentornato!:-)
" Chi siano - quelle finali Creature -
EliminaChe fedeli alla conclusione
Amministrano la sua estasi,
Soltanto l'Estate lo sa. "
;-)
Molto suggestivo il secondo pensiero, che mi fa correre il pensiero a diverse considerazioni. Nel secolo di Holbein muore la mediazione del Cristo (e dell'ordine naturale rispecchiantesi nelle gerarchie ontologiche tomiste), ed ecco sorgere dal caos delle guerre civili di religione un nuovo dio mortale. Lo si vede bene oggi, a modernità esaurita, al capezzale dello Stato, divinità imperfetta compiutamente abortita.
RispondiEliminaBen ritrovato H. Segni ravvisabili, peraltro, in altre espressioni dell'umano agire. Si pensi a certe 'scoperte'.
EliminaScrivere è anche un colloqui ininterrotto con uno specchio. La morte sta dietro quello specchio.
RispondiEliminaCeneri suggestive, come sempre.
Specchio che annota la morte in opera.
EliminaCiao Massimo.