23/12/11

Aforismi e pensieri inceneriti III


PARADOSSI ABERRANTI
Che cosa ci tiene in vita? La generosità invidiosa verso coloro che potranno partecipare all' Epilogo conclusivo - ultimo sogno collettivo dell'umanità - e l'illusione di potervi assistere.

TEMPIO. Manifestazione empia del Tempo. Inno votivo alla sua empietà e tuttavia dialogo con esso, per quanto disperato e implorante.
Ora, una strana commistione di panico, disprezzo e volontà di obliarlo fa si che non ne erigiamo più alcuno, finalmente liberi di innalzare un rutto elegiaco a noi stessi.

L'ermetico: emetico che si prende per vomitare gli altri.

Menzogna o verità taciuta? E' il linguaggio il primo impostore.

La Grazia è l' intermittente irradiazione di speranza che garantisce la durata ininterrotta del Potere.

Tutti ebrei nell' olocausto del divenire.

05/12/11

Aforismi e pensieri inceneriti II



Nel labirinto metropolitano il Minotauro è dietro ogni angolo.

Provo sgomento al riguardo di coloro che non dedicano il tempo dovuto all' idea della morte. E' come riceverne una dose anticipata.

Come fidarsi di quello lassù, capace di un solo orgasmo risolutore?

STELLE VIRULENTE
Posti sotto il vetrino del divenire, qualsivoglia sogno, idea o slancio tornano ad essere un batterio. Nonostante tutto non possiamo non desiderare di ammalarci in lungo e in largo, furie spossate, stelle virulente nel rantolo infinito del Tempo.

Cresce la frenesia nei rapporti umani, inesorabilmente. Ancora poco tempo e anche la morte verrà collocata in agenda: " Oggi non posso, oggi devo morire. "

La terribile verità di alcune domande capitali è quella di rivelarci il timore che abbiamo nel farcele. Colpevoli di omissione di soccorso nei nostri confronti preferiamo languire nella leggerezza, il che è comprensibile se si ha più cura della propria tranquillità che del proprio orgoglio.

Quella nuance di frivolezza e ingenuità propria dei suicidi wertheriani d'epoca romantica...
Oggi ci si uccide solo per consapevole disperazione (e la moda muta così repentinamente da rendere un suicidio per imitazione obsoleto già nel momento in cui si compie).

Buona parte di ciò che viene dopo Mozart - quantomeno nella musica occidentale - è puramente consolatorio. In rapporto alla sua musica eretta pare quasi di ascoltare delle scimmie che si compiangono.


29/11/11

Aforismi e pensieri inceneriti I



"L'ultima volta che la vidi fu anche la prima ".Potere straziante e chiaroveggente del rimpianto, d'una chiaroveggenza, ahimé, rivolta al passato.
Potere il quale, illuminando l'oggetto, un tempo avvolto nella penombra di automatismi e rivendicazioni che ne lasciavano intravedere soltanto una parte, gli conferisce ora una piena realtà.

Credere per disgusto o entusiasmo? Posto che la seconda declinazione squalifica subitamente la prima, in compenso non conosco nessuno che neghi sinceramente per mezzo del secondo termine.

Affittare l' anima al diavolo prima di venderla a Dio
(mercato immobiliare spesso governato dalla stessa agenzia)

Dio non desiste.
Ammiro il coraggio di quella vecchia canaglia.

Mentirei se dicessi che ho fede.
Ma sono sincero quando affermo che non sopporto la maggior parte di coloro che non credono.

Autoironia inconsapevole: i rave nelle fabbriche abbandonate riproducono l'espressione dei medesimi automatismi che regolavano la funzione delle suddette quando non erano ancora dismesse. Poco importa che la meccanicità sia governata da altri ritmi, il risultato è lo stesso; l'avvilimento dell'armonia e la mortificazione del gesto.

VOCE DEL VERBO SFINGERE
CROCE DEL VERBO SOGNARE

23/11/11

Coney Island Mon Amour

Non ho mai avuto l'occasione di scivolare con papà tra le pieghe di quel ventaglio magico che era Coney Island e farmi accarezzare dai croccanti raggi di un suo qualsivoglia mezzogiorno di fuoco, magari addolcito da una Disgrace Kelly barbuta e un Gary Cooper dalla stella di cartapesta.
Tutte le volte che questa possibilità pareva intagliarsi nell'orizzonte dei miei desideri mio padre fingeva un'indisposizione (un mal di denti causatogli dalle nuove protesi dentarie, la presunta dichiarazione di guerra tra gli Stati Uniti e la Via Lattea, l'indice borsistico o una gara di alianti a Saint-Louis) sino a proibirmi la gita adducendovi motivazioni legate alla pericolosità del quartiere. Era infinitamente stupido papà, tanto da essersi meritato - affibiatogli dai colleghi che lavoravano con lui al gasometro - l'appellattivo di Archie La Caccola Umana. Accipicchia! Come dar loro torto dal momento che passava gran parte del suo tempo a figgere l' Azzurro con un' espressione estatica accompagnata dalla spasmodica ricerca di una nuova vena aurifera nelle sconfinate miniere del suo naso congestionato.
La mamma se ne era andata pochi anni prima con un lontano cugino del North Dakota, un ragazzo poco più che ventenne, vera aria da deficiente, qualcosa come Billy Lawson, Rawson, Cowson. L'ultima lettera era del maggio millenovecentocinquantatre e recitava più o meno così: " Caro Stan, qui ci si sta che è una favola, io e Billy siamo decisi di sposarci e di fare dei fratelli e sorelle per te. Lavoro come bambinaia per la moglie di gente che è tanto conosciuta qui a Fargo e ti mando dei baci e mi piacerebbe sapere che stai bene, tuo padre ti prepara la colazione? In quanto a lui puoi dirgli di infilarsi un omelette su per quel suo naso schifoso! ".
Mi sembra di rivederla, mamma, con il tacco bianco sfrigolante sul selciato bollente, la professione di morigeratezza della quale amava circonfondersi tradita dai gesti sensuali, incrinare lo splendore mattutino modulando la voce su un registro alla Geraldine Russell mentre faceva gli occhi dolci agli operai della compagnia dei telefoni.
E in fondo non ho che una manciata di biglie rotolanti lungo l'ottovolante della memoria, io e lei sigillati nel mobile iride di queste, ed eternati, secondo l'episodio, in gloriose ascensioni ai magazzini Adler o in rombanti e fulminee discese domenicali lungo l'Hudson.
Così, all'alba di un luglio particolarmente generoso di mosche, pioggia e sogni di ragni decisi di prendere il primo bus per Coney Island non prima di aver salutato mio padre (e mentendogli sulla destinazione) che, guarda caso, riusciva in quel momento nell'impresa di radersi e, al medesimo tempo, infilare il suo indice bluastro in quello che aveva tutta l'aria di essere un canyon sventrato, esplosogli ormai in mezzo alla faccia.
Sino ad allora avevo adornato il parco meraviglioso di una serie di figure strabilianti, qualcosa che assomigliasse al generale Tom Thumb, a Jo-Jo il ragazzo dal viso di cane o ai fratelli siamesi Chang ed Eng, tutta un'epifania di creature uscite dalle illustrazioni di vecchie cartoline sulle bizzarie dell'anatomia umana o dai manifesti dipinti a mano per pubblicizzare l'ennesima tournée mondiale di P.T. Barnum e soci.
La Coney Island di Houdini e degli acrobati aveva però chiuso i battenti da tempo così come la sua celebre attrazione " Fuoco e Fiamme " (nient'altro che un incendio simulato, spento in seguito da finti e malinconici pompieri assunti per l'occasione).
Quale delusione quando, in luogo di quell' eccentrico presepe vivente, non una sfilata di re magi scortata da un bestiario fantastico si parò innanzi al mio sguardo, bensì un più dimesso carosello di bancarelle che esponevano ciambelle e hot-dog! I pennoni che costeggiavano le strade parevano matite colorate disposte con ordine lungo il grafico impazzito di quell'agglomerato di baracche ammuffite e anche lo zucchero filato era rancido, ricordava il gusto di sciroppo scaduto che ingollai la sera di Natale del millenovecentocinquantasei (e che quasi mi mandò all'altro mondo se non fosse stato per zio Arthur il quale ebbe la prontezza di riflessi di accorgersi del mio principio di soffocamento mentre, seminascosto dall'albero, agitavo il marziano di plastica regalatomi da papà con i punti de " I Cavalieri del Raggio Verde"). Me ne stavo quindi tutto solo, rimuginando sulla delusione di quell' incandescente mattina di luglio, quando notai un puntino zigzagante nella linea vaporosa dell' orizzonte. Simile ad una mosca prigioniera in un barattolo di miele una Ford nera procedeva nella mia direzione senza riuscire a librarsi definitivamente dai recessi del Mezzogiorno che la conchiudeva nel suo viscoso occhio dorato. L' automobile si avvicinava ad una rossa catapecchia - sciorinante la laconica scritta " Casa delle Meraviglie " - seguita da un nugolo di gente che agitava i cappelli e indicava ad amici, parenti e fidanzate l'esibizione che evidentemente già conosceva e che costituiva un'attrazione da condividere con i profani. Un uomo aprì la portiera e, rapida come l'ombra di un albero scorto dal finestrino di un treno in corsa, la sua figura sgattaiolò all'interno della baracca seguita dai fischi e dagli incitamenti del capannello che andava ormai ingrossandosi copiosamente. Stavo quasi per intraprendere la via del ritorno e, d'altro canto, avevo già deciso che Coney Island non l'avrei mai più rivista, tuttavia mi risolvetti a partire dopo quell'ultimo spettacolo da baraccone. Dopo pochi minuti il presentatore uscì sul tavolaccio che faceva da palco e, schiaritasi la gola, proferì le seguenti parole con voce tonante: " Signore e signori, bimbi e simpatici cagnolini, ho l'onore di presentarvi un talento inestimabile, mai visto in Europa, Asia, Poli e Mari del Sud! In grado di inghiottire qualsiasi oggetto con la sua straordinaria proboscide - pronunciava le sillabe come un fonografo Edison dalle meccaniche arruginite - ecco a voi l'incomparabile, l'inarrivabile, stupefacente AR-CHIE E IL SUO FA-VO-LO-SO NA-SO! ".