28/07/15

Aforismi e pensieri inceneriti C



Se penso a quale " personaggio " della mia stessa esistenza io sia più affezionato non ho dubbi; il decenne che leggeva Jack London sotto il tavolo di sua nonna, trasformato per l'occasione in una goletta o in un'artica slitta lanciata tra i ghiacci. Non ho mai ritrovato lo stesso potere di adesione a un testo scritto, la capacità illusionistica di dissolvermi tra quei caratteri in grassetto come se fossi la materia stessa della narrazione. E comprendo che la vera, profonda nostalgia, vibrava già allora, evocata da una letteratura ingenua la quale tuttavia alludeva alla pienezza di un'esistenza totale, come provò ad essere quella di London. Una nostalgia metamorfica, degli spazi, fisica e bruciante. Di sicuro, quel potere attrattivo non me l'ha restituito più nessun romanziere, e non certo per sua colpa. Stavo semplicemente allontanandomi da me. Stavo, quindi, diventando qualcosa. Ci si distacca da tutto, processo di separazione che investe anche ciò che è fuori dal giardino incantato della creazione letteraria, fiaba o racconto d'avventure. E, quando si avanza tra i suoi sentieri e le sue biforcazioni, si finisce per appassionarsi alle idee, ulteriore scarto della e dalla vita. Spesso più irreali di un carattere inventato, esse sono un prestito, una condivisione mutevole e aleatoria, la quale non fa che sancire l'interruzione tra noi e il mondo. Ed anche quelle che insegnano ad esperire le fondamenta di quest'ultimo, e a tornarvi, non sono che una deviazione ingannevole e tardiva, inadatta a ricondurci realmente nel nucleo dove vibra la scaturigine di una totale immedesimazione con esso. A un certo punto nulla finisce per marcarne la distanza come un libro.

           ***

Si è realmente felici solo a un passo dalla noia, meri riverberi organici, nella contemplazione atona del reale. In quella misura, riposa la sezione aurea di una gioia identitaria con il mondo. Un impercettibile ondeggiamento della volontà, un minimo scarto nell'universo del pensiero e, possiamo esserne certi, pagheremo a caro prezzo l'ansia di innovarci. Fuori dall'istante contemplativo persino il respiro ha qualcosa di faustiano.

           ***

Bestie da rimpianto. Se ci dessero l'Eterno avremmo nostalgia del Tempo. E chissà che la Caduta, le infinite cadute ed ascese, non partecipino, in verità, di un ricordo pregresso, di un'aperta ed ammaliante corolla di rimpianti, sortilegio sempre rinnovato, che nega lo stato precedente. Perché niente cade e niente risale. Così, stiamo e siamo, nel mezzo di questa oscillazione, attratti da un identico bagliore, sogno di un'eternità mutila o di un tempo imperfetto, le ali schiacciate nel vortice, imprigionati tra i due estremi di un Eden il quale non è altro che la mancanza, condizione suprema della nostra sussistenza.

           ***

Devadatta, cugino del Buddha Sakyamuni, provocò uno scisma in seno alla comunità dei monaci, accusando l'Illuminato di troppa mollezza. Il rigorismo estremo della sua corrente atteneva a numerose norme che irregimentavano la vita monacale, contraddistinta sino ad allora da una tolleranza indisponente. Tuttavia, come ogni reazionario, egli non poteva non soccombere ad una forma di insegnamento che, per sua natura, prevedeva una fitta rete di interpretazioni e concessioni (si veda l'ambiguità che investe molti buddhisti in merito al vegetarianismo, già all'epoca combattuta da Devadatta). Ogni scuola che voglia conservarsi fonda la propria potenza su una mobile ermeneutica della propria scienza. Guai a chi osi fissare con troppa dovizia un sistema. L'anelito alla stabilità è la morte di ogni dottrina.


09/07/15

Aforismi e pensieri inceneriti XCIX




Da qualche parte ho letto che in virtù dell'assorbimento totale nel Brahman, Adi Shankara, all'età di trentadue anni " si ritira in modo definitivo dalla Manifestazione ". Frase seducente. Quale altro congedo dalle scene può eccedere la gloriosa sobrietà di questo atto inafferrabile? Scopertosi esaustivamente Dio, si è ritirato in sé.

           ***

C'è un frammento d'una poesia di Hölderlin in cui il poeta allude alla fragilità dell'astronomo, all'illusione che muove questi nel nominare i corpi celesti, tentativo effimero di possedere ciò a cui ci è impedito aderire. A Dio ripugna ciò che crudelmente mutila ed inaridisce la vastità infinita del cielo. La parola che riduce è qui preludio ad un disseccamento, più profondo, veleno inoculato nella linfa delle cose, maglia infrangibile che ne impedisce la pulsazione. Destino infausto, quello del poeta che ha compreso. Dissipare, per il tramite dello stesso linguaggio, l'aureo midollo che informa il proprio spirito, mirando a restituire l'uomo e le cose all'integrità del logos, abbagliante silenzio dell'unità perduta.

           ***

A ben vedere il profeta moderno, novello Ezechiele, teme l'inverarsi delle sue previsioni funeste. Perché se queste ne certificano la lungimiranza, per contro lo declassano dal rango di reietto inascoltato, di cui ama inebriarsi, a schiavo di un'evidenza divenuta ormai comune. Il suo è un narcisismo costruito sull'incertezza al punto che questo sovrano dell'eventuale, qualora sia nel giusto, fallisce trionfando.

           ***

Verrà il giorno in cui la scimmia che siamo smetterà di imprecare al cielo. Ed è allora che creperà di nostalgia.