26/08/14

Aforismi e pensieri inceneriti LXXXIV (Alla montagna)











Montagna è respiro primevo, è riconsegnarsi alla propria origine celeste, là dove la vetta s'inverba in una luce assordante.

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Vi sono luoghi, in montagna, improntati ad un nitore ed una geometria naturali, tali da vendicare la visione amorfa a cui siamo abitualmente inchiodati. Come in una sconfinata camera sterilizzata, nella quale si producano operazioni di sapiente ed aerea chirurgia, si ha l'impressione paradossale di trovarsi innanzi a qualcosa di artificiale. Il camice grigio e verde di erba e rocce, l'immobilità trascesa da sporadici e misurati gesti, pare quanto di più lontano dalla vitalità deforme dei nostri lazzaretti urbani. Le specie si rarefanno, l'ambiente si ritrae, al cospetto del cielo. La Vita prende congedo dal proprio esubero per rivelare il nocciolo indistruttibile che la governa.

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All'erica, alla roccia, all'inumana sovranità di non scegliere.

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Il vento, le campane incendiate. Un azzurro così dolce e feroce da svellere il costato. Ogni brandello del volto del creato, in cui l'impronta umana non abbia impresso a fondo il proprio calco, conserva l'allusione a un addio incessante, mai irrevocabile.

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Salire in montagna è rinnegare la coercizione ad ogni varietà, spingersi dove si stempera la dialettica tra le cose. A un certo punto non rimane che la roccia, ultimo segno, il più nobile, dell'anomalia dell'essere.

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Mens e Mons (mente e montagna) hanno, per San Bonaventura, una medesima matrice. Ed identico è il percorso ascensionale che bisogna compiere per giungere là dove l'apex trasfigura in abisso celeste, invisibile per sovrabbondanza luminosa. L'excessus mentis dei mistici è cecità rivelatrice. La visione comincia dove l'occhio si dissolve.

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Montagna è già cielo.


- Alla mia carissima nonna Orsola -