21/03/16

Aforismi e pensieri inceneriti CV




                               Frammenti musicali, parte terza


All'improvviso
Schubert e il giardino d'infanzia dei suoi Impromptus, imbalsamato in una manciata di minuti. L'incedere lento, il dialogo di una frase reiterata, ingenua, che evapora da qualche teatrino di burattini per ragazzi, Wilhelm Meister di note appese al filo magico delle dita del pianista. Poi, calato il sipario sulla scena, varcati i primi istanti, il teatro si catapulta all'aperto, animato da una folata che polverizza quell'infanzia di legno nell'aria. Il movimento sonoro, a spargerla in una raffica breve, vertiginosa, prima di ricomporla, con la cura che si deve ai morti.

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Yudina la santa
Agli ultimi concerti si presentava priva di denti e a dir poco trasandata, nell'aspetto. Minuscola, tenace santa sdentata. A cosa servono i denti in bocca, quando si mastica Dio con i tasti? L'interpretazione, il suo dominio, è espugnato dalla visione, diventa espressione di fede. Anzi, il gesto puro, è ricondurre il miracolo al suo statuto di prassi naturale, rimuoverlo dalla cecità, la nostra, a cui è destinato. Niente di meno oscuro, di meno greve di un movimento simile. Tutt'al più, così terso, che vorremmo si frapponesse qualcosa, un punto d'appoggio, tra noi e il riverbero dell'illimitato.

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Alba mozartiana
Termina l'esecuzione, il breviario dell'estasi, recitato dal concerto per clarinetto di Mozart. Scendo alla stazione. Una coppia litiga mentre uno spettro incrostato mi passa accanto, balbettando qualche oscura cabala degradata. Avere cura di perseguire un simile incanto ben lontani dalla folla, in uno spazio protetto, la regola aurea. Quantomeno in casa. Ma neppure questo sarebbe sufficiente. Cessata l'ebbrezza resteremmo noi. Restiamo sempre noi. La verità è che bisognerebbe avere il pudore di scomparire proprio al culmine di un'esperienza siffatta, nell'istante in cui questa finisce per convergere con l'obiezione suprema alla nostra individualità.

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Richter l'enigma
Glenn Gould ebbe a dire, dopo aver assistito ad un concerto in cui Richter suonò Schubert: " Mi sembrava di esser testimone dell’unione di due qualità da me fino ad allora ritenute inconciliabili ovvero la profondità analitica e la spontaneità che lambisce l’improvvisazione ". Il volto di Sviatoslav, inciso da linee dure, gravi, finanche grezze. Eppure, a mitigarne il disegno, interveniva quello sguardo celeste il quale, se pareva respingere, lo faceva quasi chiedendo scusa. Raggio emerso da qualche luogo appartato che nel filtrare all'aperto resta fasciato dalla penombra attraversata. Il sembiante da mugik delle steppe e le mani d'avorio, come i tasti. Negli ultimi tempi scappava via dopo le esecuzioni, estenuato, forse, dal fardello della sua stessa bellezza.

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Malher e l'adagio della Nona
Ciascun frammento deve essere sottratto all'oblio, alla disgregazione, alla morte. Fardello immateriale che solleva l'alto e il basso, crocevia di primizie eterne e sconforti inauditi, effusioni enfatiche e barlumi di austerità inattaccabile, l'ordito musicale di Mahler è un'arca sonora che tutto accoglie. Rimpianto propulsivo, corteo elegiaco che scala il cielo.