09/07/15

Aforismi e pensieri inceneriti XCIX




Da qualche parte ho letto che in virtù dell'assorbimento totale nel Brahman, Adi Shankara, all'età di trentadue anni " si ritira in modo definitivo dalla Manifestazione ". Frase seducente. Quale altro congedo dalle scene può eccedere la gloriosa sobrietà di questo atto inafferrabile? Scopertosi esaustivamente Dio, si è ritirato in sé.

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C'è un frammento d'una poesia di Hölderlin in cui il poeta allude alla fragilità dell'astronomo, all'illusione che muove questi nel nominare i corpi celesti, tentativo effimero di possedere ciò a cui ci è impedito aderire. A Dio ripugna ciò che crudelmente mutila ed inaridisce la vastità infinita del cielo. La parola che riduce è qui preludio ad un disseccamento, più profondo, veleno inoculato nella linfa delle cose, maglia infrangibile che ne impedisce la pulsazione. Destino infausto, quello del poeta che ha compreso. Dissipare, per il tramite dello stesso linguaggio, l'aureo midollo che informa il proprio spirito, mirando a restituire l'uomo e le cose all'integrità del logos, abbagliante silenzio dell'unità perduta.

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A ben vedere il profeta moderno, novello Ezechiele, teme l'inverarsi delle sue previsioni funeste. Perché se queste ne certificano la lungimiranza, per contro lo declassano dal rango di reietto inascoltato, di cui ama inebriarsi, a schiavo di un'evidenza divenuta ormai comune. Il suo è un narcisismo costruito sull'incertezza al punto che questo sovrano dell'eventuale, qualora sia nel giusto, fallisce trionfando.

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Verrà il giorno in cui la scimmia che siamo smetterà di imprecare al cielo. Ed è allora che creperà di nostalgia.


9 commenti:

  1. Anche solo l'idea dell'illusione di un legame così (con i corpi celesti) da all'essere uomo qualcosa di magico ...(io l'ho provato!;-)

    imprecare o levare le braccia al cielo, sono gesti che si incontrano anche se hanno significati diversi ...

    Ottime riflessioni, Arthur!

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    1. Di braccia levate al cielo, a disegnare motivi inquietanti, ce ne sono fin troppe ;-) Ciao Carla

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  2. Crederei a un dio che sapesse balbettare.

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    1. Fuor d'ogni dubbio, per non tacere di un auspicabile sordomutismo.

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  3. Molto ha esperito l’uomo.
    Molti celesti ha nominato
    da quando siamo un colloquio
    e possiamo ascoltarci l’un l’altro

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  4. Anch'io volevo ritirarmi in me, ma la Fornero me lo ha impedito.

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  5. Anonimo8:13 AM

    Concordo con il commento di Villivà, la conoscenza apre al dialogo e alla vita. Lo sforzo di conoscenza non significa sic et simpliciter delimitazione immiserimento ed io non mi identifico con quella scimmi a che volge gli occhi al cielo. Shankara decide di scendere nel profondo del suo intimo e svanire al pubblico palcoscenico perchè la sua fede ed ideologia lo vogliono ma non è detto sia la soluzione migliore: comunicare prevede altro. Il penultimo capoverso è francamente incomprensibile

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    1. Trovo interessante ciò che Heidegger dice a proposito dei versi di Hölderlin riportati più sopra da Massimo. " Il linguaggio si attua, rivela la propria essenza, nel colloquio: ma solo perché esso – prima che quel parlare assieme comunemente e socialmente inteso, e frainteso, nel concetto già logoro di comunicazione - indica l’ascolto di quanto la differenza (il “non”) ha, di suo, già da dirci ". Si ascolta il basso continuo, il brusio dell'indicibile. Non capisco se ti riferisci al penultimo frammento che, in verità, a me pare comprensibile.

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